Arrivato al porto di Dakar, spengo i contatti, giro la chiave e metto la moto sul cavalletto. Alzo la testa e mi guardo intorno. Se non fosse per il caldo secco e per la diversa fisicità della gente, mi sembrerebbe di stare in India.
Una moltitudine di gente accalcata in ogni dove, bancarelle di legno e lamiere che propongono qualsiasi cosa e una serie di odori che ci vorrebbero giorni per comprenderne la provenienza e, detto tra noi, forse è meglio rimanere con il dubbio.
Poco importa, lo scopo è quello di farsi timbrare il carnet de passage per poi sfrecciare verso la Guinea. Il tempo è poco e la voglia di fare strada tanta.
Mi avvicino verso quello che dovrebbe essere l’ufficio della dogana ma una fila lunghissima si para davanti a me. Memore dei viaggi asiatici supero la fila con un po’ di arroganza e arrivo fino all’ingresso dove un omone color ebano mi ferma.
“Bonjour…” saluto cordialmente
Mi guarda
“io….”
Mi fissa
“scus…”
Non faccio in tempo a finire la frase che vengo risucchiato dalla calca come se fossi un rametto in preda alla furia di un torrente in piena.
Mi giro e rigiro, ma niente non trovo nessuno che mi possa aiutare così inizio ad urlare:
“Carnet de passage!”
“Tampon!”
“Belin!!!“. (Non è vero, non l’ho detto, ma da buon ligure ci sta sempre bene…)
Quando la considerazione generale era prossima allo zero a un tratto vengo afferrato da un omino paffutello e sorridente:
“Carnet?”
“Oui, do you speak English?! “. Ci provo
“Oui, je suis Kamara. Carnet avec moi. 10.000 sefa (15 euro) pour le cadeaux”
“Ah, bell’inglese, già mi mi fido e mi affido a te”
Decido di seguire quell’uomo e iniziamo la solita trafila di uffici, timbri e fotocopie. La cosa bella di personaggi come Kamara è che puoi pagare qualcuno, saltare la fila e fare tutte le pratiche in poco tempo. Una sorta di segretaria a voucher!
Durante una delle tante attese attacco bottone:
“Kamara, hai figli?”
“Sì, uno…”
“Come si chiama?”
“Kamara!”
“No aspetta, non tu ma tuo figlio”
“Kamara!”
“Non hai capi… vabbè” … “Quanti anni ha?”
“20 e ora va università. Sono molto fiero di lui”
“Riesci a vivere con questo lavoro?”
“Certo! C’è sempre molto lavoro e poi è un lavoro giusto. Leale e legale. Devi sapere che da queste parti non è semplice lavorare onestamente. Io lo faccio e do tutto quello che posso alla famiglia. Ed ora mio figlio è all’università. Sono molto fiero di lui… ”
“Beh, lui dovrebbe esserlo anche di te.” (penso)
“Francesco, ma tu non sei felice?!”
“Uhm… che domandone. Diciamo che sono abbastanza sereno, ma non ci perdiamo in questi discorsi…”
“Va bene, Francesco, ma domani è Natale e io darò tanti baci a mio figlio e lui a me”
“Ma veramente domani è il 31 dicembre…” provo a precisare
“Come?!”
“Nulla, lascia perdere…”
La conversazione è andata avanti ancora un po’ tra momenti di smarrimento e risate senza senso a 97 denti.
“Francesco, carnet avec tampon. Ora tu essere felice potere andare!”
“Grazie Kamara“.
Mi prende il braccio, si avvicina e…
“Non ti dimenticare di sorridere sempre! Non ti dimenticare di Kamara!”
Ora, ho deciso di parlare di Kamara principalmente per due motivi.
Il più superficiale è quello legato ai lavori inventati, come il faccendiere improvvisato, e come lui ce ne sono tanti per tutte le questioni burocratiche da risolvere.
Il secondo invece parla di una persona sorridente che ama la vita e la propria famiglia e, se é riuscito a trasmetterlo a uno sconosciuto mentre eravamo in attesa di un timbro, vuol dire che ha serenità da vendere.
“KAMARA, aspetta! Come si chiama tuo figlio?!”
“KAMARAAAA!”
“Ehm… vabbé ciao!”
È tempo di andare a dormire. Mi trovo bloccato in un’altra dogana tra Guinea e Sierra Leone. Questa volta dovrò passarci la notte perché la frontiera è chiusa. Provo a prendere sonno ascoltando un po’ di Neil Young.
Per la cronaca anche il figlio si chiama Kamara, per davvero!
‘Notte